“Non so che ne sarà di me, scrivere mi dà speranza”

On the publication of ”Scrittore e Assassino” in Italy, La Stampa reporter Marta Ottaviani interviewed Ahmet Altan. Banned from all written communication with the outside world, Altan responded to Ottaviani’s questions orally during his weekly one-hour visit with his lawyers at the Silivri Prison Number 9. Here is the full text of the interview in Italian. 

La Stampa – Tuttolibri / 28 January, 2017 Rome

Ahmet Altan si trova dietro le sbarre da quattro mesi senza che gli sia stata formulata un’accusa precisa, solo quella di aver mandato «messaggi subliminali» prima del fallito golpe dello scorso 15 luglio. Un motivo per il quale, in Turchia, sono finite in prigione o hanno perso il posto di lavoro migliaia di persone. TuttoLibri è riuscito a raggiungere Ahmet Altan nel carcere dove è rinchiuso tramite i suoi avvocati.

Il protagonista di «Scrittore e Assassino» non ha nome. Non ha nome nemmeno la città in cui arriva e che lei descrive così bene. Anche la Turchia compare in maniera discreta, soprattutto all’inizio del volume. Come mai questa scelta?

«Perché i conflitti psicologici e politici, l’invidia, la cupidigia che si incontrano leggendo il libro si possono sperimentare in tutto il mondo. Sono universali. Per questo ho deciso di non dare un nome al personaggio principale e alla città dove si trasferisce».

Nel romanzo è un tutti contro tutti, uno scontro fra gruppi diversi, dove il protagonista non si può fidare di nessuno. Possiamo azzardare un paragone con l’attuale situazione in Turchia?

«Sì, si può assolutamente fare un paragone. Gli eventi che descrivo nel libro somigliano in effetti a quelli che si stanno verificando in Turchia in questo periodo, anche se il mio libro è stato scritto molto tempo prima».

Nel libro colpisce il rapporto fra lo scrittore-assassino e Dio. Il protagonista parla con Dio di continuo, è un rapporto molto aperto. Che significato ha?

«Il punto è che il protagonista considera Dio un suo collega, la fede in Dio c’entra fino a un certo punto, lui pensa che Dio sia il Creatore ma soprattutto un grande romanziere. Ho proprio voluto dare alle loro conversazioni il tono di due colleghi, che può essere godibile come ordinario».

L’unico monumento descritto nel romanzo è una chiesa. In un Paese al 95% musulmano come la Turchia. Ammetterà che si tratta di una scelta singolare…

«La città a cui mi sono ispirato ha come edificio storico una chiesa. Non ci sono moschee antiche da quelle parti e per questo ho preferito parlare più della chiesa che delle moschee».

Lei è uno dei giornalisti più conosciuti e autorevoli della Turchia. Da quattro mesi è in carcere. Può spiegarci in estrema sintesi la situazione nel suo Paese e come vive questo periodo della sua vita?

«In questo momento ci sono oltre 140 giornalisti in carcere in Turchia, credo di essere l’unico romanziere dietro le sbarre in tutta Europa, per quello che ne so. Tutti i giornalisti di opposizione sono stati incarcerati. Non sappiamo per quanto durerà questa situazione. In prigione sto scrivendo il mio nuovo libro, sperando in buone notizie dall’Italia su Scrittore e assassino ».